Il Parroco P.Ottorino Marcolini.

Il Parroco P.Ottorino Marcolini.

Il grande scrittore friulano Mario Rigoni Stern, ricorda il grande amico P. Ottorino Marcolini, compagno di prigionia nel Lager di Innsbruck durante la seconda guerra mondiale. Il “nostro” P.Marcolini che tanto diede ai bresciani e, in particolare, ai cari parrocchiani di S.Antonio che hanno il dovere e il compito di non dimenticare.

La penosa prigionia nei Lager di Innsbruk durante la guerra che portò all’incontro il noto scrittore e padre Marcolini.

Il trentesimo della morte di padre Ottorino Marcolini capita nell’anno della scomparsa di Mario Rigoni Stern, mancato il 17 giugno 2008 ad Asiago, dove era nato nel 1921 e dove ha sempre vissuto, amante dei boschi e della montagna. È stato un grande della cultura italiana nella seconda metà del Novecento. Partecipò alla seconda guerra mondiale e fu prigioniero in un Lager nazista. Esordì come scrittore nel 1953 con “Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia”. La sua vasta produzione letteraria in gran parte è incentrata sugli anni drammatici della guerra. Anche la sua ultima opera, edita nel 2002, intitolata“L’ultima partita a carte” (edita da Einaudi) non è altro che la elaborazione di una testimonianza fatta alla Fondazione Cini di Venezia per raccontare in un breve intervento pubblico, in modo secco ed esperienziale, quanto aveva narrato distesamente nei libri di tutta una vita. Ne è nata così una toccante storia che parte dallo strano colpo di testa di un diciassettenne per essere arruolato in Marina, all’inizio delle ostilità, la campagna di Albania, di Russia, l’otto settembre, il Lager. Le piccole, umane storie si intrecciano con i vuoti proclami dei Bollettini di guerra della grande storia ufficiale. La storia di un uomo diventa la storia di un’epoca. E nella storia di quest’uomo fa capolino anche un grande prete bresciano, cappellano militare, che Rigoni Stern cita con evidente simpatia e gratitudine. La figura di padre Ottorino giunge alla fine del libro. Dopo l’otto settembre Rigoni Stern, con tanti altri alpini della Tridentina, da Colle Isarco viene condotto dai tedeschi a Innsbruk. Dopo il tredici settembre altro trasferimento“dove – scrive Rigoni Stern – i tedeschi deportavano quelli che non la pensavano come loro”. Ed è proprio all’inizio di questa prigionia nel Lager I – B di Hohenstein, ora Olsztynek, che appare padre Ottorino.

“Con noi – scrive – anche padre Marcolini, dell’Oratorio della Pace di Brescia, che ci aveva raggiunto in Russia prima del ritorno in Italia. Si era rifiutato di andare con gli ufficiali per dividere la sorte de’ i so’ asen, diceva in dialetto bresciano”. Poi l’autore descrive efficacemente in poche righe il calvario di venti mesi di penosa prigionia, segnata dalla fame, dal freddo, dai pidocchi e dalle più disumane umiliazioni. E il tentativo degli Ufficiali tedeschi e di quelli italiani fedeli al Duce di arruolare i deportati contro “i barbari invasori americani”. Chiedevano di accettare la proposta facendo un passo avanti. Ecco cosa capitò. “Noi – scrive Rigoni Stern – vecchi sergenti: Baroni, Dotti, Bertazzoli, io e quelli giovani di grado e non di naia, Antonelli, Tradivel e il cappellano padre Marcolini, ci eravamo messi in testa alle file. Facemmo un passo indietro. Nessuno uscì e i loro incitanti inviti si trasformarono in insulti”. Rigoni Stern descrive anche l’angoscia di quei mesi: tenuti all’oscuro di tutto.“E sempre quella fame che ci rendeva ogni giorno più emaciati”, ricorda l’autore, notando che “in questo squallore avevo compiuto il mio ventiduesimo anno” Rigoni Stern si aggrappava ai ricordi belli dell’infanzia per non cadere nella disperazione. Poi con uno squarcio luminoso della memoria così conclude: “Padre Marcolini mi aveva donato un piccolo Vangelo. Incominciai a leggere. Quando arrivai al discorso della Montagna tutto mi parve chiaro. Mi sembrava di capire senza alcuna ombra (…) Capii che gli uomini liberi non erano quelli che ci custodivano, tanto meno quelli che combattevano per la Germania di Hitler. Che noi lì rinchiusi eravamo uomini liberi”. È bello pensare a questo gesto di padre Ottorino che dona il Vangelo nel buio barbaro del Lager. Un gesto rivelativo di questo prete oratoriano che ha dato la casa a tantissimi bresciani, sapendo però che doveva dare loro molto di più: la verità del Vangelo di Cristo. La verità che fa liberi e più umani. E non è fuori luogo ricordare come Rigoni Stern, nella prefazione del piccolo libro, dice di essersi lasciato convincere a pubblicarlo “nel vedere come oggi vanno le cose sulla terra e come a troppi è diventato facile dimenticare il nostro non lontano passato”.

Mario Rigoni Stern, autore tra gli altri libri, di “Un sergente nella neve”

Marcolini beato?

L’Associazione Amici Padre Marcolini chiede di avviare il processo diocesano per la causa di beatificazione dell’uomo dei miracoli sociali

“Signore è la povertà che Tu mi mostri dappertutto; io mi volto. Perché mi fai vedere la povertà scritta dappertutto, perché mi sembra che Tu mi mandi continuamente a salutare da Madonna Povertà? Che cosa vuoi o Signore da me? Vuoi che diventi povero spogliandomi anche di quanto ho indosso? Oppure Ti basta la povertà di spirito. Signore, parla; il Tuo servo Ti ascolta”. Questo scritto del 22 dicembre del 1925 testimonia bene il dialogo continuo tra padre Ottorino Marcolini (1897-1978) e Dio.

Un confronto incessante, anche sulle scelte quotidiane, ben raccontato nel testo “Quaderni. Appunti e riflessioni personali” che riassume i diari personali di Marcolini dal 1924 al 1968.

L’Associazione. Nel novembre 2018, in occasione del 40° della morte del sacerdote della Pace, è stata costituita l’Associazione Amici padre Marcolini che riunisce le diverse realtà legate alla figura del sacerdote, tra queste la congregazione dei Padri Filippini della Pace. Presieduta da Giuseppe Nardoni, ha incominciato, con una lettera inviata anche al vescovo Pierantonio, a raccogliere molto materiale per far sì che si possa aprire il processo di beatificazione. “Le radici di questo spontaneo e condiviso desiderio si colgono − spiegano dall’Associazione − nella profondità del suo atteggiamento evangelico, che ammanta e alimenta tutte le attività sociali di cui lui è stato protagonista negli anni. Padre Marcolini ci ha insegnato, anzi dimostrato, che come dice il Vangelo, se l’uomo ha fede può smuovere le montagne. Nei suoi colloqui con Dio correva frequente la frase ‘liberami, o Signore, dall’orgoglio e dalla vanità’”.

La sua vocazione. A 31 anni l’ingegner Marcolini, direttore delle Officine Gas di Brescia, lascia la carriera per diventare sacerdote e mettersi al servizio del prossimo nella Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. L’amore per il prossimo, chiunque esso sia, e l’ascolto prestato ai problemi che affliggono le persone lo spingono all’aiuto degli altri. All’inizio della Seconda guerra mondiale, Marcolini sceglie il fronte come cappellano militare e partecipa con gli Alpini alla campagna di Russia. Rinchiuso nei campi di concentramento, custodisce l’eucaristia e costruisce un piccolo presepio per festeggiare il Natale. Quando torna, trova un Paese distrutto e da ricostruire. E lui con le sue capacità non si tira indietro.

La città guardava sorpresa questo sacerdote che la metteva di fronte a una proposta che andava oltre il limite del possibile. Lo Spirito Santo che illumina la mente di quest’uomo rende possibile l’impossibile. Con un prestito di 5 miliardi di lire, propiziato dal Governatore della Banca d’Italia Carli, che solo sulla fiducia concede a padre Marcolini il necessario per iniziare, nel 1956, con 10 imprese artigiane, costruì il primo villaggio, denominato Violino. Allora bastava lo stipendio di un operaio per prenotare una casa!

Luciano Zanardini – La Voce del Popolo 14 feb 2019

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